mercoledì 7 aprile 2010

NEW MORE ISLAND, L'ISOLA CHE NON C'E' PIU'

Nonostante gli avvertimenti della comunità scientifica internazionale, gli effetti dei cambiamenti climatici non tardano a verificarsi. Certo, la sparizione di piccole isole come New Moore Island o di atolli in mari tropicali può non interessare le masse di consumatori globali. Ma prima che migliaia di persone siano costrette a migrare, forse sarebbe meglio iniziare a pensarci.
di Andrea Bertaglio
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New Moore Island, piccola isola della Baia del Bengala a sud di Calcutta, è scomparsa per inabissamento in queste ultime settimane. Questo fatto, confermato dagli oceanografi e riscontrabile anche inserendo il nome sul Google Maps - che indica ora un punto in mare aperto - secondo gli esperti è dovuto ai sempre più numerosi tifoni ed uragani, all’aumento della salinità dei mari e soprattutto ai cambiamenti climatici (per chi ancora non lo sapesse responsabili dell’innalzamento della temperatura media a livello globale, non del fatto che faccia più caldo in estate o in inverno) verificatisi negli ultimi decenni. Anche l’erosione, che minaccia molte altre isole ed atolli, ha avuto un ruolo fondamentale nella sparizione di New Moore, che era in gran parte a 2 metri sopra il livello del mare e che quindi non può essere scomparsa per il solo innalzamento delle acque.

Conosciuta anche con il nome di Purbasha e di South Talpatti, quest’isola riusciva dal 2000 al 2009 (ossia da quando si sono iniziati a rilevare via satellite questi “cambiamenti”) a riemergere solo in casi di marea estremamente bassa. La scorsa settimana, invece, Sugato Hazra, direttore della scuola di studi oceanografici dell’Università di Jadavpur, ha affermato al giornale ‘Times of India’: “Non c’è più traccia dell’isola. Dopo aver studiato le immagini del satellite, ne ho avuto riconferma anche da gruppi di pescatori”.

Chissà, forse ciò può avere i suoi effetti positivi, se non altro a livello di diplomazia e di conflitti fra Paesi che, come l’India ed il Bangladesh nel caso di New Moore, si contendono da decenni zone di terra emersa per motivi più o meno validi. “La diplomazia del global warming - afferma ironicamente Beppe Grillo sul suo blog - potrebbe cambiare il mondo. Far scomparire le Falklands per riavvicinare Argentina e Gran Bretagna, sprofondare l’isola Sachalin per evitare ogni tensione tra Giappone e Russia, sommergere Cipro per rasserenare Turchia e Grecia… porterebbe alla riduzione di motivi di scontro fra nazioni.

Sta di fatto che su queste isole, per piccole che siano, spesso vivono delle persone. O nel caso di quella che ora è un’altra no more island, Lohachara, ci vivevano. Sempre Hazra afferma che nessuno viveva su New Moore, mentre nel caso di Lohachara (situata nell’estuario del fiume Hooghly e scomparsa sotto le acque nel 1996) ci vivevano 4.000 persone che, ovviamente, si sono dovute trasferire altrove.

Il Golfo del Bengala, dove si trovano le isole in questione, è posto tra la penisola indiana e l’Indocina, appartiene all’Oceano Indiano e su di esso si affacciano Sri Lanka, India, Bangladesh, Birmania, Thailandia, Malesia, Singapore ed Indonesia. Anche le Maldive, atollo particolarmente a rischio in tale contesto, si trovano nella stessa (enorme) baia, e non è da escludere che anche le isolette sogno di così tanti occidentali amanti delle vacanze ‘esotiche’, possano inabissarsi definitivamente come New Moore.
Forse, quando anche le mete turistiche di europei ed americani inizieranno a sprofondare, si inizieranno a prendere sul serio questi discorsi. Ma probabilmente si dovrà aspettare che anche le nostre città (pensiamo appunto a Venezia) debbano subire la stessa sorte. E consideriamo che l’Italia è un Paese con migliaia di chilometri di coste, con molte isole simili a New Moore (l’isola di Montecristo, per esempio, è delle stesse dimensioni). Anche se non c’è bisogno di allontanarsi troppo dalle coste per vedere gli effetti del global warming: basterebbe guardare i nostri ghiacciai alpini (principale riserva di acqua europea) e di come si stanno ritirando di anno in anno.

Ma come fare, quando vertici come quello di Copenhagen si rivelano completamente inutili, o quando lo stesso governo italiano ritiene barzellette la questione dei cambiamenti climatici? Staremo a vedere. Intanto, tornando al Bangladesh, secondo le Nazioni Unite il 17% del Paese sarà sommerso entro il 2050, a causa del climate change. Saranno anche queste barzellette? Speriamo.
Nel frattempo sarebbe utile iniziare a pensare che le nostre azioni ed i nostri comportamenti, in generale, possono avere effetti che si manifestano anche molto lontano dai nostri occhi.
Ma soprattutto che ridurre le emissioni di gas serra, anche per i più scettici, significherebbe ridurre i costi: dai risparmi sulle bollette a quelli a livello fiscale, visto l’enorme prezzo di trovate come quella dell’occupazione in Iraq. E ancora, migliorare la qualità di vita e le condizioni di salute, ad esempio riducendo la possibilità di contrarre cancri, tumori e leucemie (malattie aumentate in Italia in 20 anni del 10, 20, 40%, ricordava “L’Espresso” in un articolo già nel 2007).

Se non interessa la sorte di luoghi (per ora) lontani da noi e dalle persone (ed animali) che ci vivono sopra, dovremmo almeno iniziare a badare a ciò che ci circonda: valutando gli effetti che traffico automobilistico, impianti di riscaldamento, centri urbani congestionati, nuovi strumenti tecnologici di cui si ignorano i danni a lungo termine, devastazione dei suoli, discariche, inceneritori, sostanze nocive utilizzate in agricoltura ecc. hanno su ciò che mangiamo, beviamo e respiriamo. Soprattutto perché altre tecnologie si potrebbero utilizzare già da oggi - ed altri stili di vita sarebbero adottabili da questo stesso istante - con i relativi benefici anche per l’economia, tanto cara a chi di queste ’sciocchezze’ non si vuole occupare.
FONTE:
http://www.terranauta.it/a1982/cambiamenti_climatici/new_moore_island_l_isola_che_non_c_e_piu.html

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